L’ultimo inverno

Viagaribaldi Una improvvisa folata di vento gelido lo investì sul viso. Giacomo sollevò il bavero della giacca e riprese a camminare; aveva intenzione di godersi il suo ultimo inverno e per nulla al mondo vi avrebbe rinunciato, anche se per un lieve istante rimpianse il tiepido tepore delle coperte.
Mentre il livido cielo di Torino iniziava a illuminarsi, Giacomo collezionava con cautela un passo dopo l’altro lungo via Garibaldi. Osservava il selciato e si chiese quante volte i suoi piedi avessero già calcato quelle pietre e se la sua vita non fosse stata una serie infinita di intervalli tra una passeggiata e l’altra in via Garibaldi. Forse il vero senso della sua esistenza erano state le migliaia di camminate lungo quel chilometro di strada e di colpo si ritrovò a sorridere per quel pensiero così assurdo.

All’incrocio con via della Consolata fu colto da un improvviso capogiro. Prima di afflosciarsi e cadere a terra, Giacomo agguantò prontamente il palo del semaforo, recuperando l’equilibrio. Accolse l’evento con sommessa rassegnazione: i capogiri erano diventati la norma e aveva imparato a camminare lungo i muri, affianco ai pali, vicino alle transenne, a qualsiasi cosa in grado di sostenerlo e di allontanare le ombre dell’agonia.
Fece un lungo respiro e riempì i polmoni di quell’aria gelata, eppure così vitale, che solo qualche minuto prima lo aveva trapassato fino alle meningi. Svoltò in via della Consolata e dopo qualche passo si infilò nel negozio di casalinghi. La mèta di quel piccolo grande viaggio.

Giacomo si appoggiò al lungo bancone di legno in fondo al negozio e iniziò a guardarsi intorno, mentre pian piano tornava bambino. Aveva varcato quella porta per la prima volta nel 1958, aveva dodici anni e sua nonna lo aveva portato a comprare un passapatate, la fonte delle tante abbuffate di gnocchi domenicali a casa dei nonni. Sospeso nello spazio e nel tempo, quel piccolo negozio di casalinghi sembrava essersi fermato a cinquant’anni fa: stessi scaffali, medesimo impiantito scricchiolante in legno e lo stesso identico lampadario. Forse anche la stessa polvere.

– Posso aiutarla?
Sbucò all’improvviso da un piccolo varco alle spalle del bancone un ometto allampanato, avvolto in un camicione verde scuro ormai consunto e con una vistosa chiazza di inchiostro nero all’altezza del taschino. Giacomo si schiarì un poco la voce e raccolse tutte le sue forze per fare ciò che ormai da mesi gli risultava quasi impossibile: parlare.
– Certo, grazie. Cerco uno schiaccianoci.
Il negoziante si tuffò sotto al bancone per poi riemergere dopo pochi secondi con una scatola di cartone, da cui tolse subito la polvere strusciandosela sul camicione. Giacomo osservò in silenzio, indugiando ancora una volta con lo sguardo su quel verde stinto, ora anche polveroso.
– Non se ne vendono più tanti. Questo le va bene?

– Certo, è perfetto. Non abbiamo mai avuto uno schiaccianoci in casa, sa? Le ho sempre schiacciate con le mani, le noci. Mia moglie ne va ghiotta e presto le potrà essere molto utile. Sto morendo. Due mesi e poi via. Il cancro si porterà via tutto ciò che sono stato. I miei ricordi, le mie passioni e le sere passate a rompere le noci per mia moglie.
Mentre parlava, Giacomo si sorprese della facilità con cui l’aria usciva dai suoi polmoni per formare quelle parole e se ne pentì quasi subito. Non voleva la pietà di nessuno, le persone muoiono ogni santo giorno e per le cause più assurde, pensava. Iniziò ad avere il timore che il negoziante potesse regalargli lo schiaccianoci, la sola idea lo riempì di vergogna tanto da farlo arrossire in volto.
«Mi spiace, tenga stretto ciò che le rimane» rispose in evidente imbarazzo il negoziante allargando le braccia con un gesto misurato, quasi fosse normato da una precisa geometria del rammarico.

– Sono tre Euro e cinquanta, signore.
L’agitazione che aveva pervaso Giacomo si placò rapidamente. Frugò in tasca alla ricerca della moneta e con un sorriso pagò il suo piccolo regalo per la moglie. Salutò e in un attimo fu nuovamente al freddo sul marciapiede. Diede ancora un’occhiata all’interno del negozio e mentalmente benedisse il camicione verde stinto e l’uomo che lo abitava. Giacomo riprese la strada di casa, godendosi i tiepidi raggi del suo ultimo sole invernale.
Il negoziante, intanto, ripose la scatola sotto al bancone. Su un lato della confezione giaceva sotto qualche fiocco di polvere il vero prezzo di ogni schiaccianoci. Mentre si asciugava una piccola lacrima, l’uomo sorrise.

20 Comments

  1. Pierbacco

    Very torinese, questo pezzo! Coltiva il tuo modo di scrivere, ne vale la pena…
    Pierbacco

  2. Luana

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  3. Cersa

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