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147 anni e non sentirli

Attenzione: questo post è ad alto indice di patriotticità

Era il 17 marzo del 1861 quando il parlamento nazionale riunito a Torino proclamava il Regno d’Italia. In quella data storica, e troppo spesso dimenticata, trovavano la loro sintesi i primi sofferti decenni del Risorgimento. Espansione del Regno di Sardegna, il nuovo Stato nazionale era una monarchia costituzionale, le cui istituzioni erano ordinate dallo Statuto Albertino, promulgato da re Carlo Alberto nel 1848.
Il sovrano nominava il governo, che era direttamente responsabile di fronte al sovrano; il parlamento era invece eletto dagli aventi diritto al voto pari, secondo il censo, al 2% dell’intera popolazione, condizione che avrebbe destato non poche proteste tra le frange più attive dei sudditi di Vittorio Emanuele II, impegnato a portare a termine il processo di unificazione della Penisola.

Tra appena tre anni, lo stato unitario italiano compirà 150 anni. Un secolo e mezzo denso di Storia e delle miriadi di storie non scritte di coloro che furono in grado di rendere l’Italia uno degli stati più influenti al mondo.
L’Unità non fu certamente un processo semplice, né tanto meno lineare, ma concretizzò un desiderio diffuso per quell’unione perduta molti secoli prima con la definitiva implosione dell’impero romano. Quel particolare sentimento che, fuori dall’eccessiva retorica e dal patriottismo spinto, ci fa sentire ancora un piccolo tremito d’orgoglio davanti a un tricolore che garrisce al vento, idealmente animato da quei milioni di uomini che “fecero” l’Italia.

Nonostante scelte opinabili, guerre scellerate, totalitarismi, crimine organizzato, politici marpioni, uno dei più alti debiti pubblici al mondo, una stanchezza diffusa e meno sogni di un tempo nel cassetto, siamo ancora qui. Da centoquarantasette anni. Quasi un secolo e mezzo in cui non abbiamo mai smesso di lamentarci di un Paese che però non scambieremmo mai, e per nulla al mondo, con quello di qualcun altro.