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Un NO per dire sì al nucleare

Domenica andrò a votare per i referendum, consapevole che il raggiungimento del quorum non è così scontato, visto l’andazzo e i ripetuti inviti poco eleganti da parte di persone con incarichi istituzionali ad andarsene al mare o in montagna. Posto che l’idea dei referendum e della democrazia diretta non mi entusiasma –  deleghiamo un migliaio di persone a occuparsi di problemi complessi e articolati sperando ne abbiano le competenze – andrò a votare perché non riesco a farne a meno, perché sono convinto che sia lo strumento più efficace per farsi sentire quando qualcosa non va e perché se hai una tua idea è giusto che la esprimi sulla scheda, lì al seggio, prendendoti le tue responsabilità.

Su acqua e legittimo impedimento ho avuto quasi da subito chiaro che cosa votare, mentre per farmi una chiara idea sul nucleare mi ci è voluto più tempo, e forse non sono ancora convintissimo della conclusione cui sono arrivato. Il quesito in sé è stato in buona parte svuotato del proprio significato dalla Corte di Cassazione, che lo ha rivisto per adattarlo agli ultimi provvedimenti del governo che ha deciso dopo il casino di Fukushima di prendersi un anno sabbatico dall’atomo, di decantazione, dicono loro. Anche se non è più quello iniziale, il quesito ci pone comunque davanti a una scelta che potrà condizionare non solo la costruzione delle centrali nucleari nel nostro paese (per ora una chimera), ma anche la possibilità di fare ricerca per gli impianti di nuova generazione che si preannunciano più puliti.

E dico puliti, in riferimento alla produzione di scorie nucleari, e non sicuri perché la sicurezza di un impianto non è solamente data dalle tecnologie che lo fanno funzionare: è il modo in cui vengono gestite e amministrate da personale competente e preparato. Ed è qui il nodo principale della questione (poi, ok, ci sono molti altri aspetti da valutare come racconto oggi qui). Il refrain di questi giorni, ripetuto come un mantra dai sostenitori del SI, è che noi qui in Italia non saremmo mai capaci di gestire una centrale nucleare, che noi per queste cose complicate non siamo pronti e finiremmo per fare chissà quali disastri.

Per un bel pezzo l’ho pensata anch’io così, poi ho provato a cambiare prospettiva e mi sono messo a immaginare il numero notevole di circostanze in cui la mia vita dipende dal lavoro degli altri, da enormi società o da enti pubblici. L’esempio più efficace è quello dell’alta velocità. Quasi tutte le settimane viaggio sui treni dell’alta velocità tra Milano e Torino, seduto comodamente su un costosissimo treno che sfreccia ai 300 chilometri orari sui binari. Il Frecciarossa attraversa ponti, viadotti, scambi, affronta curve e gallerie costruiti da una società in parte controllata dalla Stato, da quel pubblico che insieme ai privati si metterebbe a costruire centrali nucleari.

Su quel treno viaggiano con me altre centinaia di persone e in molti punti i binari sono a poche decine di metri di distanza dall’autostrada, dove altre migliaia di persone viaggiano ai 130 chilometri orari, fidandosi di chi ha messo lì l’asfalto, la segnaletica, i viadotti e via discorrendo. Se qualcosa andasse storto, se il treno deragliasse e finisse sulle corsie dell’autostrada, sarebbe un disastro con centinaia di morti, ben superiori a quelle ufficialmente causate dalle centrali nucleari. Eppure questa eventualità non ci ha mica fermati. Dopo anni di discussioni e spese oltre la media europea, l’alta velocità alla fine l’abbiamo fatta e a nessuno è venuto in mente di dire non siamo pronti o non siamo capaci. E badate che costruire un affare del genere, fare manutenzione e gestirlo in sicurezza richiede esperienze, denaro, controlli e professionalità.

Una centrale nucleare non ce la costruirebbe Berlusconi Silvio, ma un consorzio di società e molte di queste sarebbero straniere, dai paesi in cui l’atomo per produrre energia elettrica viene utilizzato da tempo, come la Francia per esempio. Domenica voterò NO perché sono convinto che valga molto la pena di investire risorse nella tecnologia nucleare, nel fare ricerca per le centrali di nuova generazione e per tornare a poter dire qualcosa in un settore nel quale eravamo all’avanguardia fino a una trentina di anni fa. E niente paura, un po’ di illuminismo.