Ricordo nonno che comprava a me e mia sorella il tubetto di Crystal Ball davanti a scuola, in una cartoleria che in realtà era un lungo corridoio pieno di quaderni, gomme, matite e copertine di plastica, prime responsabili dell’odore che potevi respirare lì dentro. Ricordo la pasta lucida lucida e appiccicosa da mettere sul tubicino azzurro, la boccata d’aria che dovevi spararci dentro per iniziare a gonfiare il palloncino e quel lieve formicolio alle guance quando avevi finito. E poi la noia al terzo palloncino rosso gonfiato, il cesto dei giochi dove finiva il tubetto mezzo usato, con la pasta che si sarebbe seccata dopo qualche giorno. Passavano le settimane, poi la ricorrente musichetta della pubblicità di colpo ti ricordava dell’esistenza dei Crystal Ball e ti ritrovavi in cartoleria a prendere un altro tubetto, questa volta col cappuccio verde.
Oggi il Sole 24 Ore racconta che Crystal Ball non se la passa bene, che rischia il fallimento e solo ora scopro che l’azienda era, ed è, completamente italiana. L’idea dei palloncini venne a Claudio Basini, un chimico brianzolo, la produzione fu avviata nel 1968. L’azienda non ce la fa con le spese e ha organizzato una raccolta fondi online per acquistare un nuovo macchinario, che le consenta di produrre e mettere in vendita confezioni monodose per fare i palloncini. La raccolta inizierà il prossimo 5 dicembre su Eppela attraverso la vendita di kit che saranno spediti entro la fine del mese.