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L’annosa faccenda del copyright

C. G. P. Grey, il tizio che aveva efficacemente spiegato come funziona il Regno Unito e quanto rende la sua monarchia, ha da poco pubblicato un nuovo video prendendosela con le leggi sul copyright negli Stati Uniti. Da quelle parti nel 1776 avevano deciso che un’opera intellettuale dovesse essere protetta dal diritto d’autore per 28 anni, ma nel corso degli anni il periodo di tempo è stato progressivamente aumentato fino alla legge del 1998 secondo cui un’opera intellettuale è protetta dal copyright per settant’anni dalla morte del suo autore.

Sono stato sempre scettico nei confronti di chi sostiene che il diritto d’autore andrebbe completamente abolito per favorire la libera circolazione delle idee, delle opere culturali e compagnia bella. Se mi viene in mente un mondo nel futuro dove si combatte con le spade laser e c’è un tizio malvagio malvagio che respira con una maschera nera è giusto che per un po’ di anni nessuno possa scopiazzarmi l’idea, sfruttandola per farci qualche soldo a mio svantaggio. È l’idea che questa regola possa valere per settant’anni dopo la mia morte e che copra tutto il periodo della mia decomposizione che mi convince molto meno.

In questo senso l’esempio che fa Grey parlando della Disney è interessante. La società nel 1998 spinse per l’adozione delle nuove regole sul copyright, che le consentirono di mettere al sicuro molte delle sue produzioni cinematografiche più datate. Eppure, nella prima metà del Novecento, Walt Disney riuscì a creare il suo impero sfruttando le idee di altri per i suoi lungometraggi, storie che esistevano già come quelle di Biancaneve, Alice, Robin Hood e Pinocchio. Non ebbe alcun particolare problema di copyright per poterlo fare.