Uno
Da oggi è possibile acquistare anche in Italia (a prezzi più alti che in altri paesi d’Europa) il nuovo iPhone 5. E di conseguenza si può acquistare anche in Italia l’adattatore per rendere compatibile il nuovo telefono con i vecchi accessori come amplificatori, connettori per l’automobile e compagnia. Serve perché sull’iPhone 5 è stata cambiata la porta che viene utilizzata per ricaricare il telefono e sincronizzare i suoi dati.
Un aggiornamento del sistema dopo tanti anni ci poteva stare, ci mancherebbe. La vecchia porta esisteva dal 2003, quindi il nuovo adattatore servirà a milioni di persone là fuori, che in tutto questo tempo hanno accumulato accessori di vari tipo da collegare all’iPhone. Non avranno molte alternative e non troveranno l’adattatore nelle scatole dei loro nuovi fiammanti iPhone. Se lo dovranno comprare a parte, sborsando 29 euro. Apple non dovrebbe fare soldi anche su queste cose, non così tanti e in questo modo, almeno.
Due
L’Unione Europea ha da tempo deciso che lo standard per i caricatori dei cellulari debba essere quello delle porte Micro USB. L’idea è che in questo modo si possa usare un sistema universale, riducendo il numero di caricatori e il loro impatto sull’ambiente.
Il nuovo iPhone 5 ha una sua porta che non è Micro USB, ma per evitarsi problemi Apple ha comunque fatto per l’Europa un adattatore dal suo sistema Lightning a USB. Non è nella scatola dei nuovi iPhone 5, va acquistato a parte e costa 19 euro. Apple non dovrebbe fare soldi anche su queste cose, non così tanti e in questo modo, almeno.
Da ieri è possibile scaricare iOS 6, l’ultima versione del sistema operativo di Apple per iPhone e iPad, e questo lo sapevamo. Ha un sacco di nuove opzioni e funzionalità, dall’integrazione con Facebook a Siri in italiano (che fa ancora pochissime cose e in modo confuso), e anche questo era noto. Sapevamo anche che Apple per la prima volta da quando esiste l’iPhone ha deciso di lasciar perdere le mappe di Google, sostituendole con una sua applicazione alternativa per slegarsi dalla società che gestisce anche il motore di ricerca e che ha più che altro interesse a usare le sue applicazioni come “ambasciatrici” di Android sui sistemi della concorrenza. Lo sapevamo, se ne era parlato e si sapeva anche come sarebbero state le nuove mappe, ma apriti cielo.
Nelle ultime ore sono saltate fuori lamentele da tutte le parti, tra siti di notizie, blog tecnologici, social network e compagnia. Trovare qualcuno a cui sono piaciute le nuove mappe, uno dei servizi più importanti e usati sugli smartphone, sembra essere praticamente impossibile. Anche gli stessi siti che si occupano esclusivamente di cose Apple, spesso con modi di fare che superano il fanatismo, hanno faticato a nascondere una certa delusione per come è fatta la nuova applicazione e per la povertà di informazioni che offre.
C’è chi non è contento per la grafica utilizzata da Apple, chi non trova più le cose con la stessa facilità con cui le trovava prima e chi ancora non ha capito come funzionano. Leggendo in giro mi sono comunque fatto l’idea che per molti il vero problema di fondo è che le nuove mappe di Apple non sono le mappe di Google. Ed è vero: non sono più la cosa che milioni di persone hanno usato sui loro smartphone per cinque anni, ma non è detto che questo sia un male. (Tutta la faccenda la dice lunga su quanto siamo di frequente refrattari al cambiamento, ma questa è un’altra storia.)
Questa è l’area centrale di Milano: a sinistra è come appare con le mappe di Apple, a destra con quelle classiche di Google.
C’è lo stesso groviglio di strade minuscole di sfondo, ci sono le aree verdi che sono i parchi cittadini e le vie più grandi in evidenza (gialle per Google, bianche per Apple). Quelle di Apple danno l’idea di essere meno dettagliate, ma non lo sono: i contenuti sono semplicemente più rarefatti perché hanno scale diverse. Inoltre, rispetto alle classiche mappe di Google, mostrano i nomi delle diverse aree della città e hanno un dettagli più accurato della grandezza delle vie principali: in proporzione sono segnalate molte più strade di questo tipo, in modo ben visibile e con un grado di dettaglio tale da farsi al volo un’idea dell’area in cui ci si trova.
Questa è un’area di Milano con più zoom, di nuovo, a sinistra come appare con le mappe di Apple, a destra con quelle di Google.
Il livello di zoom è più o meno simile, Apple non mostra le forme degli edifici (lo fa a ingrandimenti più ravvicinati), ma in compenso dà una scala più realistica delle vie secondarie, cosa che le mappe di Google non fanno, mostrando strade molto più grandi di quanto non siano in realtà. Insomma, le prime sono più realistiche, le seconde mirano a una maggiore praticità (schermo piccolo, vie più grosse di quanto non lo sono, ma più visibili). Entrambe danno comunque le stesse informazioni, sensi unici compresi e in molti casi il “less is more” scelto da Apple funziona di più, dove ci sono diversi livelli stradali che si intersecano, per esempio.
E queste sono le mappe a confronto con le indicazioni dei punti di interesse (di nuovo, a sinistra Apple a destra Google).
Non sono indicati tutti gli stessi locali perché, per entrambe le mappe, le indicazioni cambiano a seconda del livello di zoom. Per buona parte dei locali in entrambi i casi ci sono informazioni aggiuntive cliccando sulle loro icone. In questo caso, è vero, Google se la cava meglio perché ha alle spalle l’enorme quantità di informazioni del suo motore di ricerca. Apple dà comunque informazioni come recensioni e numeri di telefono dei punti di interesse attraverso il servizio Yelp. (Niente di pazzesco, ma è interessante notare che in questo caso le mappe di Google si sono perse un naviglio.) Le informazioni sui trasporti pubblici sono in fase di sviluppo e per ora servono applicazioni aggiuntive esterne, dove esistono. Va comunque ricordato che quelle di Google in molte città non sono un granché affidabili.
Il passaggio alle nuove mappe ha anche consentito ad Apple di introdurre una nuova funzione (su iPhone 4S e 5, su iPad 2 e nuovo iPad) per avere le indicazioni passo-passo per andare da un posto a un altro, come su un comune navigatore. Non è una cosa da poco conto e non sarebbe stata possibile rimanendo con Google, che esercitava un certo controllo sulla sua applicazione (le mappe su Android hanno il navigatore da tempo). Il navigatore funziona bene anche grazie all’accordo con TomTom e viene da chiedersi quanti di quelli che hanno criticato la nuova applicazione l’abbiano in effetti già provato.
Le mappe di Apple hanno anche il vantaggio di essere vettoriali. Facendola semplice: significa che si caricano e si ingrandiscono più rapidamente di quelle di Google, e sono anche più semplici da navigare. Se fai ruotare due dita sullo schermo, la mappa si orienta di conseguenza, cosa che con la app di Google non si poteva fare. I nomi delle vie, inoltre, si adattano al nuovo orientamento e quindi sono sempre leggibili, altra cosa che non si poteva fare sulla app di Google quando si usava l’opzione per orientarle con la bussola.
Infine, Apple ha introdotto una nuova opzione per vedere i panorami in tre dimensioni con un livello di dettaglio notevole. Al momento funziona solo con alcune città (in Italia ci sono di sicuro Milano e Roma), ma la società è al lavoro per estendere il servizio ad altri luoghi.
Una vista di Milano.
Le mappe 3D non sostituiscono naturalmente Street View, il sistema di Google per vedere le mappe con fotografie a 360 gradi a livello stradale, ma danno comunque una buona idea della zona in cui ci si trova. E comunque pensateci: quante volte avete usato Street View sul vostro iPhone per trovare un posto? (Qui in redazione al Post nessuno, ma ora so che salterà qualcuno fuori nei commenti coi suoi ma come, ma io, ma certo.) Per trovare un luogo servono le mappe, quelle disegnate e nemmeno con le foto satellitari. Facciamo affidamento su quelle, il resto sono cose di contorno che per ora non si sono rivelate così utili, figurarsi indispensabili. Lo diventeranno quando i sistemi della cosiddetta realtà aumentata saranno stati perfezionati: a quel punto punteremo il telefono verso un luogo e il telefono sovrapporrà sull’inquadratura informazioni su strade, locali e via discorrendo (Nokia ci sta provando, molto).
Nel complesso le nuove mappe sono un passo avanti per Apple e lo saranno anche per chi usa gli smartphone. Sistemi diversi portano a più concorrenza, a inventarsi nuovi servizi e altre innovazioni. Sta già succedendo. Stiamo entrando in una nuova fase della cosiddetta guerra degli smartphone. Con il progressivo superamento dei problemi sui brevetti legati all’hardware (ci vorrà ancora un po’), il campo del confronto sono ora i contenuti – gli ecosistemi, come dicono quelli che la sanno lunga – e le mappe sono un’area fondamentale per gli smartphone.
E quindi? Le mappe di Apple sono migliori di quelle di Google? No, ma non sono nemmeno peggio. Per stessa ammissione della società sono perfettibili di sicuro e ci vorrà un po’ di tempo, ché lavorare con le informazioni geografiche a un simile livello di dettaglio non è per nulla semplice. Soprattutto, comunque, sono una cosa diversa e nuova. Terminato il momento di disperazione, anche quelli superscettici si abitueranno al nuovo sistema, o se ne faranno una ragione. Gli irriducibili, intanto, vivranno con la speranza che Google faccia una sua app di mappe per iPhone, che hai visto mai.
Aggiornamento del 28 settembre 2012
Tim Cook, che Apple la dirige, dopo giorni e giorni di polemiche su ste benedette mappe ha scritto una lettera aperta con le sue scuse per come è fatta la nuova applicazione. La trovate qui.
Nel suo libro biografico su Steve Jobs, Walter Isaacson racconta che l’allora amministratore delegato di Apple andò su tutte le furie quando vide le prime versioni di Android, il sistema operativo ideato da Google adottato da diversi produttori di smartphone come Samsung. Disse che Google aveva compiuto un’invasione di campo in una realtà che prima non esisteva, e che Apple aveva messo in piedi ideando l’iPhone. Jobs riteneva che in molte cose Android fosse un plagio smaccato di iOS, il sistema operativo degli iPhone, e si ripromise di non dare tregua alle società che lo avrebbero utilizzato producendo telefoni con funzionalità simili a quelle brevettate da Apple per il proprio smartphone. E così è stato.
A praticamente un anno dal giorno in cui Jobs diede le dimissioni da CEO della società e a oltre dieci mesi dalla sua morte, ieri Apple ha ottenuto in tribunale una importante sentenza contro Samsung, accusata di aver violato sei su sette brevetti Apple e condannata a pagare un risarcimento di almeno 1.049.343.540 di dollari. La sentenza sta facendo molto discutere e in queste ore ci si interroga su cosa potrà accadere nei prossimi giorni e quali saranno le conseguenze per tutti, non solo per Samsung o Apple, della decisione dei giurati. Ho messo insieme qualche pensiero sulla cosa, da leggere con beneficio d’inventario.
– Samsung ricorrerà in appello per cercare un nuovo verdetto favorevole, almeno su alcuni brevetti per la cui violazione ha subito la condanna. I legali proveranno a ottenere una riduzione del risarcimento da pagare a Apple.
– Nei prossimi giorni Apple si darà da fare per ottenere diverse ingiunzioni dal tribunale per sospendere la vendita dei prodotti Samsung che violano i suoi brevetti. Non tutti gli smartphone citati nel processo sono ancora in vendita, si tratta di vecchi modelli, ma il Galaxy S II può essere ancora trovato nei negozi di diverse parti del mondo. Apple avrà dalla sua la decisione della giuria per ottenere rapidamente la sospensione delle vendite, ai danni di Samsung.
– Nonostante l’esito molto favorevole del processo, è probabile che anche Apple decida di ricorrere in appello. La giuria ha infatti stabilito che Samsung non ha violato il design dell’iPad con il proprio Galaxy Tab 10.1, una delle cose su cui i legali di Apple avevano puntato molto durante il processo. Se all’appello si decidesse il contrario, la società potrebbe ottenere un altro importante risarcimento, ma soprattutto potrebbe condizionare il modo in cui la concorrenza realizza i propri tablet.
– La sentenza permette anche a Apple di dire, più o meno indirettamente, che così com’è Android non va bene perché su alcuni smartphone porta alla violazione dei suoi brevetti. Google lo sa bene e negli ultimi mesi ha fatto grandi pressioni nei confronti delle società che usano Android, invitandole a cambiare il design dei loro telefoni per differenziali di più sia esteticamente sia nel funzionamento, specialmente per quanto riguarda i comandi che si possono impartire facendo scorrere le dita sul touchscreen. Gli smartphone Android potrebbero risentirne, diventando meno pratici per alcune cose, come la possibilità di zoomare con due dita nelle mappe (non è una cosa da poco).
– Non bisogna essere comunque troppo pessimisti sul futuro di Android. Il sistema operativo c’è, è usato su centinaia di milioni di smartphone e di certo non scomparirà. I produttori che lo utilizzano (sono anche grossi e non sono pochi) hanno davanti la possibilità di ideare nuove soluzioni, nuovi sistemi che si differenzino da quelli di Apple e magari con qualche pregio in più.
– Apple ha messo in chiaro che chi copia non avrà tregua fino a quando non smetterà di farlo. La sentenza lascia diversi contorni sfumati su cosa potrà fare la concorrenza e cosa non potrà fare con i propri nuovi smartphone. Questa incertezza, almeno iniziale, potrebbe portare a un rallentamento della messa in vendita di nuovi modelli Android, lasciando più spazio per Apple.
– La fine del processo è arrivata con un tempismo perfetto per Apple. La società nelle prossime settimane potrà ottenere la sospensione delle vendite di diversi modelli Samsung e si attiverà per fare altrettanto con altre aziende, creando buone condizioni per quando presenterà (si pensa a fine settembre) il suo nuovo iPhone 5. Poi arriverà la stagione degli acquisti natalizi, la più redditizia dell’anno, e staremo a vedere come andranno le cose con la concorrenza.
– Chi sicuramente è felice per come sono andate ieri le cose nell’aula di tribunale di San Jose (California) è Microsoft. Il sistema operativo per dispositivi mobili della società, Windows Phone, per ora ha faticato molto ad affermarsi schiacciato dalla concorrenza di iOS (Apple) e di Android (Google). Nel corso del processo è però emerso che Microsoft ha un contratto per l’uso in licenza di alcune tecnologie ideate da Apple per i dispositivi mobili. Non sono circolati molti dettagli in più sull’accordo, ma dovrebbe trattarsi di una specie di patto per evitare che le due società si copino a vicenda con a garanzia alcune tecnologie in licenza. In questa fase di incertezza su Android, diversi produttori potrebbero quindi decidere di aumentare il numero di loro smartphone (per ora sono pochi, fatta eccezione per il grande sforzo di Nokia) che utilizzano Windows Phone, sui quali ci sono maggiori garanzie dal punto di vista legale, diciamo. È una buona notizia per Microsoft, che conta di rinforzare ulteriormente la diffusione di Windows Phone con l’imminente lancio del nuovo Windows 8, che avrà molte soluzioni simili a quelle del suo sistema operativo per smartphone.
– Seguendo il processo mi sono fatto l’idea che in effetti quelli di Samsung avessero scopiazzato diverse cose dai dispositivi Apple. Magari non andò proprio come sostenuto nel processo, cioè che Samsung mise sul mercato il primo “clone” dell’iPhone in tre mesi semplicemente imitando le cose che Apple aveva sviluppato con enormi costi nei cinque anni precedenti, ma anche prima della sentenza era difficile non vedere particolari e sospette somiglianze tra gli smartphone delle due società. Ho diverse perplessità sulla cifra stabilita per il risarcimento e sulla rapidità con cui la giuria ha raggiunto il verdetto (e sull’utilità stessa che su materie così complesse tecnicamente si affidi la decisione a una giuria popolare).
– A dirla tutta, in alcuni casi Samsung è stata condannata dalla giuria per aver violato il brevetto su un gesto registrato da un’altra società, e questo riporta a una delle domande cruciali che chi si occupa di queste cose si ripete spesso: si può davvero brevettare un gesto? La mia opinione è che, no, non si possa fare e che il sistema dei brevetti – soprattutto negli Stati Uniti – per questo genere di cose sia fuori controllo. L’Ufficio che se ne occupa concede brevetti a tutto spiano per ogni singola minuzia. Questo consente alle società di avere il controllo su alcuni pezzi fondamentali senza i quali la concorrenza non può completare il suo puzzle. Da tutto questo derivano accordi incrociati di licenza su qualsiasi cosa e, soprattutto, continue e milionarie cause legali tra le società che finiscono per combattersi nelle aule di tribunale e non sul mercato. È un gran casino, ma se non si mette mano alla gestione dei brevetti, come chiedono da anni in molti, la produzione di nuove idee sarà sempre più difficile specialmente per le società più piccole.
Questa mattina ho letto i giornali sull’iPad come al solito, ma a differenza degli altri giorni quando ho finito di prendermela per certi titoli e ho appoggiato il tablet sul tavolo mi sono soffermato a osservare la mela morsicata che ha sul retro. È nera, in plastica lucida ed è perfettamente allineata con il resto dell’involucro in alluminio. Ho ripercorso il suo contorno con un dito facendo un gesto simile a quello che compie ogni giorno Zhou Xiao Ying per eliminare le imperfezioni dal taglio nell’alluminio dove sarà incastrata la mela nera. Un gesto che Zhou ripete tremila volte in un turno di lavoro di 12 ore in uno degli stabilimenti della Foxconn, il principale assemblatore di dispositivi per Apple e per molte altre aziende tecnologiche del mondo.
Di Zhou e delle migliaia di altri suoi colleghi che ogni giorno mettono insieme gli aggeggi elettronici che usiamo tutti i giorni se ne è parlato molto, nelle ultime settimane, in seguito ad alcune inchieste sulle loro condizioni di lavoro. Martedì al racconto di come funzionano le cose alla Foxconn si è aggiunto un breve reportage realizzato dalla trasmissione Nightline della ABC, che ha ottenuto da Apple il permesso di filmare alcune linee di produzione degli iPad e degli iPhone. La società, criticata per non aver vigilato a sufficienza sulle condizioni dei lavoratori in Cina, ha dato eccezionalmente il proprio consenso vincendo la tradizionale ritrosia a svelare come vengono realizzati i milioni di dispositivi che vende ogni mese. Le telecamere lì dentro, tra gli operai, non ci erano mai entrate prima ed è così che ho scoperto dell’esistenza di Zhou e ho iniziato a vedere con un occhio un po’ diverso il mio iPad, il mio telefono e il computer su cui sto scrivendo.
Usi questi affari immaginando che siano stati messi insieme da robot ipertecnologici, macchinari di altissima precisione che sfornano un dispositivo dopo l’altro, ma non è così. I processi automatizzati servono per costruire le centinaia di componenti che faranno poi funzionare un iPhone o un Mac, ma per metterli insieme serve per forza il lavoro manuale di migliaia di persone. Le linee di produzione mostrate da Nightline sono lunghissime e affollate di lavoratori, molti con meno di venti anni, che si passano di mano i dispositivi aggiungendo con gesti misurati, frenetici e sempre uguali i componenti per turni che possono durare anche 12 ore.
A pranzo hanno due ore di pausa, mangiano nella mensa dello stabilimento e devono pagare una cifra simbolica per i pasti. Quasi tutti cercano di mangiare velocemente per fare un riposino con la testa poggiata sui tavoli prima di riprendere il turno. Il riposino dopo pranzo è una tradizione in Cina, spiegano quelli della Foxconn al giornalista dell’ABC, facendo intendere che i lavoratori che dormono non sono tutti stanchi morti per via del lavoro. Finito il turno giornaliero, gli operai si possono ritrovare nelle aree comuni dello stabilimento, dove possono usare una serie di iPad come quelli che costruiscono, seguire corsi di formazione di vario tipo o fare sport all’aperto. Le stanze dei dormitori, quelli con le reti alle finestre per evitare i suicidi, sono affollate e non sempre confortevoli.
In buona parte dei paesi in cui vengono acquistati gli iPad e gli altri prodotti Apple simili condizioni di lavoro sarebbero probabilmente improponibili, ma per come vanno (purtroppo, sia chiaro) le cose nelle aziende cinesi si tratta di standard più che accettabili. Per rendersene conto basta lasciare gli stabilimenti della Foxconn e andare nei villaggi a qualche chilometro di distanza, come hanno fatto quelli di Nightline. Le abitazioni spesso cadono a pezzi, le famiglie vivono in unici stanzoni scalcinati e si aggiustano come possono, con lavori occasionali. Non stupisce quindi che davanti ai cancelli della Foxconn si ritrovino migliaia di ragazzi nei giorni in cui l’azienda assume nuovi dipendenti. Entrare lì dentro significa massacrarsi di lavoro, ma al tempo stesso avere uno stipendio sicuro e la possibilità di mettere da parte qualche soldo. I candidati sono tutti giovani, molti di diciassette anni, e arrivano da diversi distretti della Cina, pronti a trasferirsi lì e a non tornare per mesi a casa.
Insomma, non so di preciso perché mi sia messo qui a raccontarvi queste cose, forse per condividere una strana sensazione, che non è imbarazzo o vergogna (ma un poco ci si avvicina), che ho provato guardando il reportage di Nightline. Mi ero occupato di diversi articoli in tema nelle ultime settimane, ma vedere la stessa cosa raccontata per immagini ha avuto un effetto diverso. Sembra di essere davanti alla storia raccontata da un romanzo sociale, di Dickens o giù di lì, con la consapevolezza che quella della Foxconn è una fase e che le cose non potranno andare avanti a lungo così. Il momento di un riscatto per i protagonisti di questa storia potrà, però, arrivare se si impegneranno in primo luogo i produttori di dispositivi tecnologici a rivedere il modo in cui gestiscono i propri affari con le catene di produzione in Cina. Tim Cook, l’amministratore delegato di Apple, si è impegnato a fare più controlli e a fare meglio, aggiungendo che loro “non sono fatti così”. La società ha costruito il suo successo sull’idea di pensare diversamente e non ha (quasi) mai deluso, in effetti.
Correva l’anno (ok, sì, l’ho scritto) 1985 e sulla TV pubblica statunitense PBS andò in onda una puntata di Computer Chronicles dedicata al Macintosh, il computer che iniziò a far cambiare un bel po’ di cose nel mondo dell’informatica. Anche per merito di Steve Jobs.
La cosa davvero notevole, spiegavano all’epoca in studio, era la definizione grafica del piccolo computer per eseguire i programmi. Lo schermo del Macintosh aveva una risoluzione di 512 x 342 pixel ed era in bianco e nero. L’iPhone 4 oggi nelle tasche di milioni di persone di pixel ne ha 960 x 640 con quasi cinque volte la densità di pixel rispetto allo schermo del primo Mac. Ma nel 1985 nessuno lo sapeva.
Martedì scorso Tim Cook & C. hanno presentato le novità di Apple. Steve Jobs non era presente, nemmeno in sala, in compenso c’era una sedia vuota riservata. Ci ho ripensato oggi, che Jobs non c’è più.