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il blog di emanuele menietti

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In difesa delle mappe Apple

20 Settembre 2012

Da ieri è possibile scaricare iOS 6, l’ultima versione del sistema operativo di Apple per iPhone e iPad, e questo lo sapevamo. Ha un sacco di nuove opzioni e funzionalità, dall’integrazione con Facebook a Siri in italiano (che fa ancora pochissime cose e in modo confuso), e anche questo era noto. Sapevamo anche che Apple per la prima volta da quando esiste l’iPhone ha deciso di lasciar perdere le mappe di Google, sostituendole con una sua applicazione alternativa per slegarsi dalla società che gestisce anche il motore di ricerca e che ha più che altro interesse a usare le sue applicazioni come “ambasciatrici” di Android sui sistemi della concorrenza. Lo sapevamo, se ne era parlato e si sapeva anche come sarebbero state le nuove mappe, ma apriti cielo.

Nelle ultime ore sono saltate fuori lamentele da tutte le parti, tra siti di notizie, blog tecnologici, social network e compagnia. Trovare qualcuno a cui sono piaciute le nuove mappe, uno dei servizi più importanti e usati sugli smartphone, sembra essere praticamente impossibile. Anche gli stessi siti che si occupano esclusivamente di cose Apple, spesso con modi di fare che superano il fanatismo, hanno faticato a nascondere una certa delusione per come è fatta la nuova applicazione e per la povertà di informazioni che offre.

C’è chi non è contento per la grafica utilizzata da Apple, chi non trova più le cose con la stessa facilità con cui le trovava prima e chi ancora non ha capito come funzionano. Leggendo in giro mi sono comunque fatto l’idea che per molti il vero problema di fondo è che le nuove mappe di Apple non sono le mappe di Google. Ed è vero: non sono più la cosa che milioni di persone hanno usato sui loro smartphone per cinque anni, ma non è detto che questo sia un male. (Tutta la faccenda la dice lunga su quanto siamo di frequente refrattari al cambiamento, ma questa è un’altra storia.)

Questa è l’area centrale di Milano: a sinistra è come appare con le mappe di Apple, a destra con quelle classiche di Google.

C’è lo stesso groviglio di strade minuscole di sfondo, ci sono le aree verdi che sono i parchi cittadini e le vie più grandi in evidenza (gialle per Google, bianche per Apple). Quelle di Apple danno l’idea di essere meno dettagliate, ma non lo sono: i contenuti sono semplicemente più rarefatti perché hanno scale diverse. Inoltre, rispetto alle classiche mappe di Google, mostrano i nomi delle diverse aree della città e hanno un dettagli più accurato della grandezza delle vie principali: in proporzione sono segnalate molte più strade di questo tipo, in modo ben visibile e con un grado di dettaglio tale da farsi al volo un’idea dell’area in cui ci si trova.

Questa è un’area di Milano con più zoom, di nuovo, a sinistra come appare con le mappe di Apple, a destra con quelle di Google.

Il livello di zoom è più o meno simile, Apple non mostra le forme degli edifici (lo fa a ingrandimenti più ravvicinati), ma in compenso dà una scala più realistica delle vie secondarie, cosa che le mappe di Google non fanno, mostrando strade molto più grandi di quanto non siano in realtà. Insomma, le prime sono più realistiche, le seconde mirano a una maggiore praticità (schermo piccolo, vie più grosse di quanto non lo sono, ma più visibili). Entrambe danno comunque le stesse informazioni, sensi unici compresi e in molti casi il “less is more” scelto da Apple funziona di più, dove ci sono diversi livelli stradali che si intersecano, per esempio.

E queste sono le mappe a confronto con le indicazioni dei punti di interesse (di nuovo, a sinistra Apple a destra Google).

Non sono indicati tutti gli stessi locali perché, per entrambe le mappe, le indicazioni cambiano a seconda del livello di zoom. Per buona parte dei locali in entrambi i casi ci sono informazioni aggiuntive cliccando sulle loro icone. In questo caso, è vero, Google se la cava meglio perché ha alle spalle l’enorme quantità di informazioni del suo motore di ricerca. Apple dà comunque informazioni come recensioni e numeri di telefono dei punti di interesse attraverso il servizio Yelp. (Niente di pazzesco, ma è interessante notare che in questo caso le mappe di Google si sono perse un naviglio.) Le informazioni sui trasporti pubblici sono in fase di sviluppo e per ora servono applicazioni aggiuntive esterne, dove esistono. Va comunque ricordato che quelle di Google in molte città non sono un granché affidabili.

Il passaggio alle nuove mappe ha anche consentito ad Apple di introdurre una nuova funzione (su iPhone 4S e 5, su iPad 2 e nuovo iPad) per avere le indicazioni passo-passo per andare da un posto a un altro, come su un comune navigatore. Non è una cosa da poco conto e non sarebbe stata possibile rimanendo con Google, che esercitava un certo controllo sulla sua applicazione (le mappe su Android hanno il navigatore da tempo). Il navigatore funziona bene anche grazie all’accordo con TomTom e viene da chiedersi quanti di quelli che hanno criticato la nuova applicazione l’abbiano in effetti già provato.

Le mappe di Apple hanno anche il vantaggio di essere vettoriali. Facendola semplice: significa che si caricano e si ingrandiscono più rapidamente di quelle di Google, e sono anche più semplici da navigare. Se fai ruotare due dita sullo schermo, la mappa si orienta di conseguenza, cosa che con la app di Google non si poteva fare. I nomi delle vie, inoltre, si adattano al nuovo orientamento e quindi sono sempre leggibili, altra cosa che non si poteva fare sulla app di Google quando si usava l’opzione per orientarle con la bussola.

Infine, Apple ha introdotto una nuova opzione per vedere i panorami in tre dimensioni con un livello di dettaglio notevole. Al momento funziona solo con alcune città (in Italia ci sono di sicuro Milano e Roma), ma la società è al lavoro per estendere il servizio ad altri luoghi.

Una vista di Milano.

Le mappe 3D non sostituiscono naturalmente Street View, il sistema di Google per vedere le mappe con fotografie a 360 gradi a livello stradale, ma danno comunque una buona idea della zona in cui ci si trova. E comunque pensateci: quante volte avete usato Street View sul vostro iPhone per trovare un posto? (Qui in redazione al Post nessuno, ma ora so che salterà qualcuno fuori nei commenti coi suoi ma come, ma io, ma certo.) Per trovare un luogo servono le mappe, quelle disegnate e nemmeno con le foto satellitari. Facciamo affidamento su quelle, il resto sono cose di contorno che per ora non si sono rivelate così utili, figurarsi indispensabili. Lo diventeranno quando i sistemi della cosiddetta realtà aumentata saranno stati perfezionati: a quel punto punteremo il telefono verso un luogo e il telefono sovrapporrà sull’inquadratura informazioni su strade, locali e via discorrendo (Nokia ci sta provando, molto).

Nel complesso le nuove mappe sono un passo avanti per Apple e lo saranno anche per chi usa gli smartphone. Sistemi diversi portano a più concorrenza, a inventarsi nuovi servizi e altre innovazioni. Sta già succedendo. Stiamo entrando in una nuova fase della cosiddetta guerra degli smartphone. Con il progressivo superamento dei problemi sui brevetti legati all’hardware (ci vorrà ancora un po’), il campo del confronto sono ora i contenuti – gli ecosistemi, come dicono quelli che la sanno lunga – e le mappe sono un’area fondamentale per gli smartphone.

E quindi? Le mappe di Apple sono migliori di quelle di Google? No, ma non sono nemmeno peggio. Per stessa ammissione della società sono perfettibili di sicuro e ci vorrà un po’ di tempo, ché lavorare con le informazioni geografiche a un simile livello di dettaglio non è per nulla semplice. Soprattutto, comunque, sono una cosa diversa e nuova. Terminato il momento di disperazione, anche quelli superscettici si abitueranno al nuovo sistema, o se ne faranno una ragione. Gli irriducibili, intanto, vivranno con la speranza che Google faccia una sua app di mappe per iPhone, che hai visto mai.

Aggiornamento del 28 settembre 2012
Tim Cook, che Apple la dirige, dopo giorni e giorni di polemiche su ste benedette mappe ha scritto una lettera aperta con le sue scuse per come è fatta la nuova applicazione. La trovate qui.

Posted in: tecnologie Tag: apple, google, ipad, iphone, mappe, mappe apple

Tempi difficili

23 Febbraio 2012

Questa mattina ho letto i giornali sull’iPad come al solito, ma a differenza degli altri giorni quando ho finito di prendermela per certi titoli e ho appoggiato il tablet sul tavolo mi sono soffermato a osservare la mela morsicata che ha sul retro. È nera, in plastica lucida ed è perfettamente allineata con il resto dell’involucro in alluminio. Ho ripercorso il suo contorno con un dito facendo un gesto simile a quello che compie ogni giorno Zhou Xiao Ying per eliminare le imperfezioni dal taglio nell’alluminio dove sarà incastrata la mela nera. Un gesto che Zhou ripete tremila volte in un turno di lavoro di 12 ore in uno degli stabilimenti della Foxconn, il principale assemblatore di dispositivi per Apple e per molte altre aziende tecnologiche del mondo.

Di Zhou e delle migliaia di altri suoi colleghi che ogni giorno mettono insieme gli aggeggi elettronici che usiamo tutti i giorni se ne è parlato molto, nelle ultime settimane, in seguito ad alcune inchieste sulle loro condizioni di lavoro. Martedì al racconto di come funzionano le cose alla Foxconn si è aggiunto un breve reportage realizzato dalla trasmissione Nightline della ABC, che ha ottenuto da Apple il permesso di filmare alcune linee di produzione degli iPad e degli iPhone. La società, criticata per non aver vigilato a sufficienza sulle condizioni dei lavoratori in Cina, ha dato eccezionalmente il proprio consenso vincendo la tradizionale ritrosia a svelare come vengono realizzati i milioni di dispositivi che vende ogni mese. Le telecamere lì dentro, tra gli operai, non ci erano mai entrate prima ed è così che ho scoperto dell’esistenza di Zhou e ho iniziato a vedere con un occhio un po’ diverso il mio iPad, il mio telefono e il computer su cui sto scrivendo.

Usi questi affari immaginando che siano stati messi insieme da robot ipertecnologici, macchinari di altissima precisione che sfornano un dispositivo dopo l’altro, ma non è così. I processi automatizzati servono per costruire le centinaia di componenti che faranno poi funzionare un iPhone o un Mac, ma per metterli insieme serve per forza il lavoro manuale di migliaia di persone. Le linee di produzione mostrate da Nightline sono lunghissime e affollate di lavoratori, molti con meno di venti anni, che si passano di mano i dispositivi aggiungendo con gesti misurati, frenetici e sempre uguali i componenti per turni che possono durare anche 12 ore.

A pranzo hanno due ore di pausa, mangiano nella mensa dello stabilimento e devono pagare una cifra simbolica per i pasti. Quasi tutti cercano di mangiare velocemente per fare un riposino con la testa poggiata sui tavoli prima di riprendere il turno. Il riposino dopo pranzo è una tradizione in Cina, spiegano quelli della Foxconn al giornalista dell’ABC, facendo intendere che i lavoratori che dormono non sono tutti stanchi morti per via del lavoro. Finito il turno giornaliero, gli operai si possono ritrovare nelle aree comuni dello stabilimento, dove possono usare una serie di iPad come quelli che costruiscono, seguire corsi di formazione di vario tipo o fare sport all’aperto. Le stanze dei dormitori, quelli con le reti alle finestre per evitare i suicidi, sono affollate e non sempre confortevoli.

In buona parte dei paesi in cui vengono acquistati gli iPad e gli altri prodotti Apple simili condizioni di lavoro sarebbero probabilmente improponibili, ma per come vanno (purtroppo, sia chiaro) le cose nelle aziende cinesi si tratta di standard più che accettabili. Per rendersene conto basta lasciare gli stabilimenti della Foxconn e andare nei villaggi a qualche chilometro di distanza, come hanno fatto quelli di Nightline. Le abitazioni spesso cadono a pezzi, le famiglie vivono in unici stanzoni scalcinati e si aggiustano come possono, con lavori occasionali. Non stupisce quindi che davanti ai cancelli della Foxconn si ritrovino migliaia di ragazzi nei giorni in cui l’azienda assume nuovi dipendenti. Entrare lì dentro significa massacrarsi di lavoro, ma al tempo stesso avere uno stipendio sicuro e la possibilità di mettere da parte qualche soldo. I candidati sono tutti giovani, molti di diciassette anni, e arrivano da diversi distretti della Cina, pronti a trasferirsi lì e a non tornare per mesi a casa.

Insomma, non so di preciso perché mi sia messo qui a raccontarvi queste cose, forse per condividere una strana sensazione, che non è imbarazzo o vergogna (ma un poco ci si avvicina), che ho provato guardando il reportage di Nightline. Mi ero occupato di diversi articoli in tema nelle ultime settimane, ma vedere la stessa cosa raccontata per immagini ha avuto un effetto diverso. Sembra di essere davanti alla storia raccontata da un romanzo sociale, di Dickens o giù di lì, con la consapevolezza che quella della Foxconn è una fase e che le cose non potranno andare avanti a lungo così. Il momento di un riscatto per i protagonisti di questa storia potrà, però, arrivare se si impegneranno in primo luogo i produttori di dispositivi tecnologici a rivedere il modo in cui gestiscono i propri affari con le catene di produzione in Cina. Tim Cook, l’amministratore delegato di Apple, si è impegnato a fare più controlli e a fare meglio, aggiungendo che loro “non sono fatti così”. La società ha costruito il suo successo sull’idea di pensare diversamente e non ha (quasi) mai deluso, in effetti.

Posted in: tecnologie Tag: apple, foxconn, ipad, iphone, mac

È arrivato Timbuktu!

4 Aprile 2011

Da poche ore sull’App Store potete scaricare il primo numero di Timbuktu per iPad, la rivista per bambini di Elena Favilli (Editor in Chief), che scrive anche sul Post, e di Francesca Cavallo (Creative Director), che fa la regista di teatro e centomila altre cose. L’applicazione è gratuita e potete scaricarla da qui.

Timbuktu Magazine è stato realizzato grazie al contributo di Working Capital 2010 di Telecom Italia, che ha premiato il progetto di Elena lo scorso anno con un finanziamento per la creazione del primo numero della rivista. Il magazine è prodotto con codice aperto (HTML5) e quindi in futuro potrà essere pubblicato anche per altri tablet, come quelli che usano Android, il sistema operativo di Google.

Il primo numero è dedicato al ghiaccio. Ci sono le interviste agli animali che popolano i poli, il cartone animato di un tricheco, la storia di una incredibile macchina per fare il ghiaccio, i quiz sul freddo e la fotostoria della neve. Poi ci sono le rubriche di domande, i consigli per inventare nuovi giochi e l’affascinante racconto del censimento in India.

Elena la spiega così:

«Volevamo fare una rivista digitale dove i bambini potessero trovare il meglio della ricerca sull’immagine per bambini e il meglio delle potenzialità di interazione offerte dall’iPad. E volevamo farne un posto in cui potessero coltivare la loro curiosità e la loro incredibile forza».

Francesca, invece, così:

«Le notizie di solito sono considerate qualcosa che appartiene solo agli adulti, qualcosa di troppo serio perché possa interessare ai bambini. Noi pensiamo invece che quello che succede ogni giorno nel mondo sia estreemamente importante per loro e abbia un enorme potenziale come strumento di crescita e comprensione delle cose. I bambini non amano soltanto le principesse e i draghi. Amano soprattutto esercitare la loro immaginazione per capire e conoscere meglio il mondo che li circonda».

Timbuktu è in inglese ed è quindi pronto per i bambini di mezzo mondo, iPad dei genitori permettendo. E per i bambini italiani può essere un ottimo sistema per imparare e perfezionare il loro inglese.

Alcune cose legate alla navigazione e alla semplicità d’uso del magazine possono essere ancora migliorate, ma del resto si tratta di un numero zero che richiede la dovuta indulgenza. Le potenzialità per un simile prodotto sono enormi e sono nelle mani di persone capaci ed entusiaste. E questo potrà fare la differenza. In bocca al tricheco.

Posted in: internet e media, libri e poesia Tag: app store, bambini, elena favilli, francesca cavallo, ipad, rivista, timbuktu, timbuktu magazine

Fino a Timbuktu

7 Febbraio 2011

Timbuctu, Tumbutu, Timbuctoo, Timbouctou, Tombouctou oppure Timbuktu. L’antica città del Mali puoi chiamarla in tutti questi modi, la rivista per bambini per iPad in cantiere in queste settimane si chiamerà in un solo modo: Timbuktu.

Elena Favilli, che ha già il grande pregio di scrivere sul Post, si sta dando da fare per mettere a posto le ultime cose e avere al più presto pronto il numero zero della sua rivista.

Potete seguire la sua avventura e quella di chi collabora al bel progetto su Twitter e, manco a dirlo, su Facebook. Poi toccherà munirsi di iPad e tornare bambini.

Posted in: giornali, internet e media Tag: bambini, elea, elena favilli, ipad, rivista per bambini, timbuktu, timbuktu magazine

iPad daiquiri

6 Aprile 2010

Il sadico trituratore è tornato a colpire. Dopo aver finemente sminuzzato un iPhone ai bei tempi che furono, quando lo smartphone Apple era una novità senza pari, il tizio della Blendtec ha ora pensato bene di frullare e disintegrare un iPad nuovo di pacca. C’è chi si diverte così.

Posted in: tecnologie Tag: apple, blendtec, distruggere, frullatore, ipad, tablet
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