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il blog di emanuele menietti

scienza

Sette minuti di terrore

12 Luglio 2012

Nella notte del prossimo 5 agosto, intorno alle 22.30 (ora della California), molti ricercatori e ingegneri della NASA vivranno il momento più angosciante della loro intera carriera. Sette minuti di lunga attesa per scoprire se la missione cui hanno lavorato per anni sarà andata a buon fine: fare atterrare automaticamente un enorme robot (rover) che pesa 900 chili sulla superficie di Marte. Sapranno se le cose sono andate per il verso giusto solo alla fine, quando il Mars Science Laboratory, Curiosity per gli amici, avrà iniziato a trasmettere i primi dati dal suolo marziano.

Curiosity è in viaggio verso Marte dalla fine dello scorso novembre ed è il protagonista di un nuovo ambizioso progetto della NASA, nato per approfondire le nostre conoscenze sul pianeta dopo l’ottimo lavoro svolto dai fratelli minori del nuovo rover, Spirit e Opportunity. Tra le altre cose, Curiosity condurrà rilevazioni ed analisi per scoprire se un tempo ci fosse vita su Marte, sotto qualche forma. Per poterlo fare, la missione – che costa 2,5 miliardi di dollari – dovrà iniziare per forza con un atterraggio perfetto, molto complesso e mai provato prima con queste modalità. E per rendere l’idea, creando un po’ di sano interesse e aspettativa per la nuova missione spaziale, la NASA ha realizzato un video che sta circolando molto online.

Curiosity ha anche un suo account su Twitter e ha da poco superato i centomila follower.

Posted in: scienza Tag: curiosity, mars science laboratory, marte, nasa

Decalogo minimo per la cronaca di un terremoto

18 Giugno 2012

Lo scorso 20 maggio ho raccontato con una diretta sul Post il terremoto in Emilia e, nei giorni seguenti, ho continuato ad occuparmi dell’argomento notando una certa approssimazione da parte dei giornali e degli altri mezzi di comunicazione nello spiegare ciò che stava accadendo. Mi sono soprattutto accorto di quanto siano stati usati termini scientifici e parole a sproposito, per indicare cose diverse da ciò che significano. Non è necessariamente colpa dei giornalisti, non si può pretendere che chi si trova di turno al desk quando si verifica un terremoto nel cuore della notte sia esperto di sismologia, anche se dovrebbe esserci un minimo di dimestichezza considerato che le informazioni base su come funzionano i terremoti sono – o dovrebbero essere – insegnate alle scuole superiori (e qui si apre un discorso molto più ampio sulla capacità di trasmettere agli studenti quanto sia fantastico capire almeno per grandi linee come caspita funziona il pianeta su cui viviamo). È meno tollerabile che a un mese di distanza si continuino a leggere e sentire diverse inesattezze nei racconti giornalistici dall’Emilia.

Senza la pretesa di cambiare il mondo e con la consapevolezza di aver sicuramente fatto qualche errore in passato nel racconto di altri terremoti, ho messo insieme dieci regole minime per giornalisti (e non) che devono o dovranno occuparsi della cronaca di un evento sismico. È un decalogo molto elementare e conciso, che può essere un punto di partenza da integrare con le FAQ molto chiare e semplici dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dello United States Geological Survey, per esempio. Ringrazio il geologo Federica Comoglio per i suoi amichevoli consigli e suggerimenti.

1. La magnitudo indica con un numero la “grandezza” di un terremoto ed è una misura indiretta dell’energia sprigionata da un terremoto. Non esiste un solo tipo di magnitudo, quindi non dire che un istituto ha registrato un dato diverso rispetto a un altro. L’INGV, per esempio, usa quasi sempre la magnitudo locale per i terremoti in Italia, mentre lo statunitense USGS diversi tipi di magnitudo a seconda della distanza e delle caratteristiche dei terremoti rilevati.

2. Oltre alla magnitudo, indica la profondità alla quale si è verificato il terremoto. È un dato importante per dare meglio l’idea di quali possano essere i suoi effetti.

3. Non confrontare terremoti con magnitudo simili avvenuti in diverse aree del mondo: gli effetti delle scosse sono determinati anche dalle caratteristiche del territorio, da come sono stati costruiti gli edifici e da altre variabili.

4. Fino a scosse di magnitudo 3.9 i terremoti sono definiti leggeri, e solitamente non causano danni. Se parli di “forti scosse” in assoluto per terremoti al di sotto di 3.9 fai solo inutile allarmismo.

5. La scala della magnitudo locale è basata sui logaritmi: un terremoto 4 è enormemente inferiore rispetto a un 4.5 (circa 5,7 volte meno potente). La scala, inoltre, non ha “gradi” ma “valori” (numeri puri, come un voto a scuola), quindi non dire “un terremoto di grado 4.3”.

6. Non confrontare due o più scosse parlando di diversa “intensità” della magnitudo. L’intensità viene utilizzata per indicare esclusivamente gli effetti provocati dai terremoti su paesaggio e strutture costruite dall’uomo (la scala più nota per l’intensità dei terremoti è la Mercalli – Cancani – Sieberg MCS).

7. I terremoti di maggiore magnitudo sono in genere seguiti da una serie di altre scosse. È opportuno chiamarle “repliche” e non “scosse di assestamento”.

8. Ricorda che “pericolo sismico” e “rischio sismico” non vogliono dire la stessa cosa. Il primo indica la probabilità che un certo evento si verifichi in una data area in un determinato periodo di tempo. Il secondo, invece, è la stima economica delle perdite riferite a un evento in un determinato periodo di tempo in una data area. Le mappe come questa indicano la pericolosità sismica, rappresentando il livello di scuotimento che può essere superato con una probabilità del 10 per cento in 50 anni. Qui trovate una spiegazione più estesa dell’INGV.

9. Evita modi di dire logori e a effetto come “la terra trema di nuovo”: è una fesseria. Viviamo su un pianeta geologicamente molto inquieto, che si muove in continuazione producendo catene montuose, il vulcanismo, le risorse che sfruttiamo (minerali, idrocarburi…), grandi terremoti e minuscole scosse. Non le avvertiamo, ma questo non significa che non ci siano o che in quei momenti la terra sia “ferma”.

10. No, ci sono diversi studi che se ne stanno occupando, ma allo stato e con le conoscenze attuali, i terremoti non si possono prevedere.

Posted in: giornali, scienza Tag: magnitudo, pericolo sismico, repliche, scala richter, terremoto, terremoto emilia

L’aspartame visto da Report

30 Aprile 2012

Ieri sera a Report si sono occupati dell’aspartame, uno dei più diffusi e utilizzati dolcificanti artificiali al mondo, chiedendosi se possa essere dannoso per la salute. Per molti versi, la puntata ricordava quella dello scorso novembre dedicata ai telefoni cellulari, in cui fu dato ampio spazio ai sostenitori della loro presunta pericolosità, trascurando alcune evidenze che avrebbero reso più complicata la dimostrazione della tesi dell’inchiesta. Seguendo questo sistema, nel caso dell’aspartame ne è venuta fuori una puntata a tratti insinuante e un poco inconcludente, anche se va comunque riconosciuto ai suoi autori di aver riportato l’attenzione su un tema su cui si discute da decenni e che è diventato molto complesso e difficile da raccontare.

La prima parte dell’inchiesta ha mostrato come l’aspartame ottenne l’approvazione negli Stati Uniti per essere utilizzato negli alimenti, dopo la sua fortuita scoperta in laboratorio. Niente di nuovo o inedito: l’approvazione del dolcificante artificiale fu una delle più complesse e travagliate tra quelle gestite dalla Food and Drug Administration (FDA). La società che brevettò il prodotto fu accusata tra gli anni Settanta e Ottanta di aver falsificato i dati delle proprie ricerche sulla sicurezza dell’aspartame e ci furono anche discussioni e polemiche per presunti conflitti d’interessi con la FDA. Questi aspetti della vicenda sono stati messi molto in evidenza nella puntata di ieri, mentre hanno avuto meno spazio e risalto le iniziative, scientifiche e legali, che furono avviate negli Stati Uniti per verificare la fondatezza dei timori legati alla sostanza chimica e che smontarono le accuse legate all’approvazione dell’aspartame. La questione fu anche affrontata dalla sezione investigativa del Congresso (Government Accountability Office), che consultò 67 scienziati sulla materia e la stragrande maggioranza (55) non espresse particolari preoccupazioni.

Forse per ragioni di tempo, Report non ha dato poi spazio alle tante indagini scientifiche e studi realizzati da centri di ricerca, singoli ricercatori e organismi di controllo. Lavori che hanno verificato (su basi scientifiche, non decretandolo e basta) che in dosi ragionevoli l’aspartame non costituisce un pericolo per la salute. Per citarne solo alcune, ci sono la ricerca di Harriet H. Butchko e colleghi del 2002, lo studio di B. A. Magnuson e colleghi del 2007, il rapporto della European Food Safety Authority (EFSA) del 2010.

Invece di citare le evidenze emerse in quelle ricerche, l’inchiesta si è concentrata – nella seconda parte – sui risultati ottenuti dalla Fondazione Ramazzini, un istituto di ricerca sui tumori di Bologna, secondo cui l’aspartame potrebbe essere cancerogeno alle dosi di sicurezza indicate dalle istituzioni sanitarie. Anche in questo caso non si tratta di nulla di nuovo, ma di una serie di studi condotti nei primi anni del Duemila e già presi in considerazione e scartati dalla FDA e dalla EFSA perché ritenuti poco affidabili. Nel suo intervento dallo studio, Milena Gabanelli ha ricordato (semplificando molto, la storia fu più complessa e con più protagonisti internazionali) che in passato il Ramazzini identificò un importante agente cancerogeno, il cloruro di vinile, e che quindi lo studio della Fondazione sull’aspartame si meriterebbe una maggiore attenzione. Solo che la ricerca scientifica non funziona così. Non si basa su quello che ha fatto prima il centro di ricerca dove lavori, ma su quello che hai cercato di dimostrare nel tuo studio che sarà poi rivisto, smontato e rimontato da altri ricercatori. Se non ricordo male, la ricerca del Ramazzini fu presentata a una conferenza stampa saltando il meccanismo classico, e più affidabile, della precedente pubblicazione su una rivista col sistema del peer-review, che consente ad altri ricercatori di verificare la bontà del nuovo studio proposto prima che sia diffuso.

Nella puntata si è anche sostenuto che dovrebbero essere le autorità come la FDA e la EFSA a indicare alle aziende centri di ricerca affidabili per verificare la potenziale pericolosità delle nuove sostanze, evitando così il meccanismo per cui sono le società a occuparsi di far realizzare gli studi da presentare agli organismi di controllo. Non è però chiaro perché un sistema simile dovrebbe offrire più garanzie. Nella trasmissione si faceva intendere che l’attuale sistema porta alla produzione di studi di parte, perché le aziende hanno il pieno interesse a far approvare i loro prodotti. È vero, ma è altrettanto vero (e sarebbe stato più onesto ricordarlo) che le medesime aziende vogliono poter vendere il più a lungo possibile i loro prodotti e con limitazioni chiare da subito, condizione che non può essere ottenuta con studi poco accurati o volutamente “di parte”. È bene anche ricordare che le ricerche sulle sostanze in attesa di approvazione vengono controllate e vagliate da panel di tecnici ed esperti della FDA e dell’EFSA, che possono richiedere nuovi studi o approfondimenti a carico delle società. E proprio la travagliata storia iniziale dell’aspartame ne è la dimostrazione.

L’inchiesta di Report contestava anche l’impossibilità di farsi un’idea chiara su quanto aspartame sia contenuto nei cosiddetti cibi e bevande dietetici. In effetti la quantità precisa non viene indicata, ma come veniva ammesso anche nella puntata è molto difficile superare i limiti giornalieri consigliati per l’assunzione della sostanza. (Ed è bene ricordare che ci sono limiti giornalieri consigliati per qualsiasi cosa ingeriamo, acqua compresa.) Per l’EFSA il limite è di 40 milligrammi per chilogrammo, per la FDA la soglia è più alta e pari a 50 milligrammi per chilogrammo. Un adulto di 75 chili dovrebbe bersi almeno venti lattine al giorno di bevande con aspartame per arrivare alla soglia indicata dalla FDA.

La quantità naturalmente si riduce nel caso dei bambini, ma anche considerando un peso di 30 chilogrammi occorrerebbe rimpinzare un ragazzino di prodotti con aspartame da mattina a sera per raggiungere il limite. In uno dei passaggi più controversi della puntata di ieri (anche dal punto di vista deontologico) è stato intervistato un ragazzino, che deve assumere particolari medicinali ogni giorno, ed è stato ricordato che in molti farmaci sono presenti dolcificanti artificiali come l’aspartame. Le quantità, però, sono minime e enormemente al di sotto di qualsiasi limite di presunta pericolosità, compreso quello indicato dal contestato studio del Ramazzini. Non ho capito che senso avesse intervistare quel ragazzino ai fini dell’inchiesta, che faceva un po’ l’effetto dell’allarmato “chi penserà ai nostri poveri bambini?”.

Infine, l’inchiesta di Report si è occupata dell’aspartame in relazione alle diete e alla perdita di peso, riprendendo anche in questi casi ricerche scientifiche ormai datate e messe da parte dopo diverse revisioni. Nella complessa storia del dolcificante artificiale, saltarono fuori alcuni studi che mettevano in allarme sulla possibilità che l’aspartame potesse fare ingrassare e portare all’obesità. Forse si sarebbe potuto spiegare che i pochi studi sul presunto effetto ingrassante dell’aspartame sono stati analizzati e smontati da molte ricerche negli ultimi dieci anni, arrivando alla conclusione che non ci sono dati per poter sostenere che l’aspartame faccia prendere peso.

La razza umana non si estinguerà a causa dell’aspartame. Se bevete 20 lattine di bibite light al giorno, il problema è un altro.

Posted in: radio-e-televisione, scienza Tag: aspartame, dolcificanti, fondazione ramazzini, milena gabanelli, report

Il disastro del Challenger in Super 8

9 Marzo 2012

In questo periodo i video inediti del disastro dello Shuttle Challenger saltano fuori come funghi. Dopo quello che vi avevo segnalato a fine febbraio, l’Huffington Post ha da poco pubblicato un nuovo filmato girato questa volta su pellicola Super 8. Il video fu realizzato a pochi chilometri di distanza dalla rampa di lancio di Cape Canaveral in Florida da Jeffrey Ault, che all’epoca aveva 19 anni. Come accaduto ad altri video amatoriali analoghi sull’incidente, la pellicola è rimasta per decenni chiusa in una scatola senza essere vista. La scorsa settimana, dopo 26 anni, Ault l’ha ritrovata e l’Huffington Post l’ha diffusa oggi in esclusiva online.

Il filmato mostra le fasi immediatamente precedenti al lancio, la partenza dello Shuttle e la sua esplosione in cielo dopo 73 secondi di volo. Ault doveva avere affianco a sé alcuni spettatori italiani, le cui voci si sentono distintamente mentre commentano le fasi della partenza e l’incidente. Il video è probabilmente l’unica registrazione amatoriale del disastro realizzata su pellicola.

Posted in: scienza, timemachine Tag: challenger, nasa, shuttle, spazio, super 8

Angry Birds nello Spazio

9 Marzo 2012

A volte la vita, lassù in orbita a 350 chilometri di distanza dalle nostre teste, può essere noiosa. Gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale hanno risolto il problema giocando a Angry Birds dal vero e in parziale assenza di gravità. Il tizio che ci mostra come si gioca è Donald Petit, Don per gli amici, che ha 56 anni e una lunga carriera da astronauta alle sue spalle con due passeggiate spaziali per l’installazione di alcuni componenti della ISS. È lassù dal 21 dicembre scorso.

Il 22 marzo arriva una nuova versione del videogioco, ambientato nello spazio.

Posted in: pillole, scienza Tag: angry birds, don pettit, spazio, stazione spaziale internazionale

Il video inedito del Challenger

21 Febbraio 2012

Lo scorso luglio la NASA ha concluso il programma Shuttle dopo 40 anni di viaggi spaziali con la famosa astronave. La conclusione delle missioni con gli Shuttle è stata l’occasione per ricordare i tanti successi scientifici ottenuti negli anni e i gravi incidenti che causarono la distruzione del Columbia (2003) e del Challenger (1986). Il primo si disintegrò nella fase di rientro nell’atmosfera, mentre il Challenger esplose a 73 secondi dal lancio producendo un’enorme nube di fumo e fuoco che in molti si ricordano ancora oggi.

L’incidente del Challenger fu ripreso in diretta televisiva ed ebbe un fortissimo impatto sul programma spaziale degli Shuttle, che rimase fermo per due anni. A distanza di 26 anni dall’incidente, è da poco saltato fuori un nuovo video che mostra le fasi principali dell’incidente. Fu girato con una videocamera amatoriale da Bob Karman mentre si trovava in uno dei terminal dell’aeroporto di Orlando, a circa 80 chilometri di distanza dall’area di lancio dello Shuttle. Era di ritorno con la propria famiglia da Disney World. La figlia, che all’epoca aveva tre anni, oggi lavora per il New Scientist e ha permesso alla testata di pubblicare il video, rimasto inedito fino a ora.

Karman si ricordava di aver filmato l’incidente, ma non sapeva più dove fosse finita la videocassetta con le immagini. Nel febbraio del 2010 il Courier Journal di Louisville (Kentucky) aveva pubblicato un altro filmato amatoriale dell’incidente, realizzato da Jack R. Moss tra le abitazioni di un’area residenziale di Winter Haven. Il video fu reso pubblico pochi giorni prima della morte di Moss, che decise di donarlo allo Space Exploration Archive, una organizzazione non-profit di Louisville.

Posted in: scienza, timemachine Tag: challenger, nasa, shuttle

Report e l’allarmismo sui cellulari

28 Novembre 2011

Ieri sera la trasmissione Report si è occupata dei telefoni cellulari e dei pericoli che potrebbero costituire per la nostra salute. A differenza del solito, l’inchiesta andata in onda era abbastanza confusa e metteva insieme tante cose diverse (finanziamenti sospetti, ricerche mai pubblicate, un parallelo con l’industria del tabacco, Maurizio Gasparri), che c’entravano poco tra loro e che soprattuto avevano poco a che fare con le evidenze scientifiche emerse fino a ora sulla possibilità che i telefonini possano essere nocivi. Non è necessariamente colpa della giornalista che se ne è occupata, la questione è molto complicata e negli anni si è detto tutto e il contrario di tutto, ma ammetto di aver notato una certa costruzione della puntata tesa a creare ansia e allarmismo per cose che di fatto ancora non sappiamo o sulle quali c’è poca certezza.

La prima parte dell’inchiesta si è occupata del finanziamento (indiretto) delle ricerche sui cellulari condotte dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) da parte di alcuni produttori di cellulari. Cosa che avviene in numerosi settori e che, a differenza di quanto veniva illustrato nel servizio, non implica necessariamente che le ricerche dell’OMS vengano influenzate dai loro finanziatori. Lo stesso fenomeno succede in numerosi altri ambiti e in parte è dovuto al fatto che l’OMS non ha grandi risorse e per fare simili ricerche servono molti fondi. Ciò non ha impedito che della possibile pericolosità dei cellulari se ne sia parlato per quasi venti anni e che siano state condotte centinaia di ricerche, compresi moltissimi studi indipendenti sull’argomento.

L’inchiesta non ha però messo molto in risalto il fatto che esistano centinaia di ricerche scientifiche che si contraddicono tra di loro e che a oggi non hanno prodotto risultati affidabili. Report ha intervistato solamente alcuni ricercatori convinti della pericolosità dei cellulari, trascurando gli altri scienziati che con i loro studi sono arrivati a conclusioni opposte. Le prove scientifiche sono state trascurate per buona parte della puntata e ci si è quasi esclusivamente concentrati sul lavoro dell’OMS, sul quale è stata creata grande attesa fin dall’inizio della puntata.

Dopo la sigla di apertura, nel suo breve discorso introduttivo, Milena Gabanelli ha parlato di un risultato clamoroso annunciato lo scorso maggio dall’OMS sulla pericolosità dei cellulari, senza entrare nel merito e annunciando che sarebbe tornata sull’argomento nel corso della puntata (creando un po’ di sana attesa nei telespettatori). Poi ha aggiunto che quella notizia così importante «avrebbe meritato la prima pagina dei giornali e invece è finita in un trafiletto in quindicesima». Cosa non vera: era in prima pagina su Repubblica, sul Sole 24 Ore, sul Messaggero, sul Corriere della Sera, in grande evidenza sulla Stampa e su molti altri quotidiani, che hanno dedicato ampio spazio alla notizia all’interno delle loro edizioni.

E che cosa aveva detto di così clamoroso la tanto terribile OMS finanziata dai produttori di cellulari lo scorso maggio? Aveva detto che i telefoni cellulari possono essere potenzialmente pericolosi, inserendoli nel gruppo 2B della classificazione degli elementi e dei prodotti che possono causare il cancro nell’uomo, secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), organismo che fa parte dell’OMS. Con una musica molto ansiogena di sottofondo, Report ha correttamente riportato l’informazione inquadrando un grafico con i vari gruppi di pericolosità indicati dallo IARC, omettendo però di dire che il gruppo 2B comprende un’enorme quantità di prodotti e composti chimici che vengono indicati potenzialmente cancerogeni. Cose con le quali siamo a contatto quasi tutti i giorni come la benzina, gli oli combustibili e soprattutto il caffè.

Posted in: radio-e-televisione, scienza Tag: cellulari, milena gabanelli, report

Siamo un pianeta bellissimo

28 Ottobre 2011

L’Atlantic ha messo insieme gli spettacolari video ad alta definizione della NASA girati lassù, sulla Stazione Spaziale Internazionale a 350 chilometri dal suolo.

Posted in: scienza Tag: nasa, spazio, stazione spaziale internazionale, terra

Hip hip array!

14 Ottobre 2011

A una ottantina di chilometri a ovest di Socorro, nel Nuovo Messico, ci sono 27 enormi parabole con un diametro di 25 metri puntate verso il cielo. Sono allineate lungo tre bracci che formano una Y e vengono utilizzate per studiare lo spazio. Grazie a questo complesso, che si trova su un pianoro a 2100 metri sopra il livello del mare, gli astrofisici hanno approfondito le loro conoscenze sulle galassie, sulle quasar, le pulsar, le supernove, i pianeti, il Sole, i buchi neri e su altre cose interessanti – ma meno affascinanti come gas e polveri – che costituiscono la Via Lattea.

Questo insieme di radiotelescopi fu costruito a partire dai primi anni Settanta e fu nominato molto pragmaticamente: Very Large Array, ovvero “schieramento molto ampio”, VLA per gli amici. Un gran bel progetto con un nome banale, che nel corso del tempo non ha contribuito molto alla fama dell’iniziativa astronomica.

A distanza di 31 anni dall’inaugurazione del complesso, che nel frattempo è stato potenziato con nuove tecnologie, quelli del VLA hanno deciso di trovare un nuovo nome e di affidarsi alle proposte degli appassionati o di chi si ritrova per caso sul loro sito web. Per inviare una proposta basta compilare questo modulo, inserendo la propria email e il nuovo nome. C’è tempo fino al primo dicembre, poi il 10 gennaio 2012 il National Radio Astronomy Observatory (NRAO) comunicherà il nome vincitore.

foto: ROBYN BECK/AFP/Getty Images

Posted in: scienza Tag: astronomia, radiotelescopi, stati uniti, very large array

Una vittoria epocale

24 Settembre 2011

Quello qui sopra è il comunicato stampa del ministro Gelmini pubblicato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla faccenda dei neutrini e della velocità della luce. La bestialità del tunnel che va dal Gran Sasso alla Svizzera è stata ripresa molto online in questo ore, specialmente su Twitter, ma è l’intero testo a essere delirante.

La frase «Il superamento della velocità della luce è una vittoria epocale per la ricerca scientifica di tutto il mondo» è puro avanspettacolo. Sembra che il risultato ottenuto dai ricercatori sia stato quello di superare la velocità della luce e non di scoprire che – forse – ci sono particelle elementari come i neutrini che la superano.

Tornando al fantomatico tunnel, la domanda di Fabrizio Goria pubblicata su Twitter è molto appropriata:

Scusate un attimo. Ma se il #tunnelgelmini non esiste, per cosa cribbio hanno speso 45 milioni di euro?

Posted in: scienza Tag: cern, gran sasso, mariastella gelmini, neutrini, svizzera, tunnel, twitter
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